Il fai-da-te della nostra politica estera
Dal Trattato di amicizia italo-libico alla concessioni delle basi, lo spettacolare U-turn del Governo italiano
Dal Bunga Bunga al Bomba Bomba |
E' destino del Belpaese una guerra alla Libia ogni secolo. Ora ci siamo. Le tv si sono popolate di presunti esperti, opinionisti 'sinceramente favorevoli all'intervento', manager ideologici e imbrattacarte in cerca di legittimazione. Si è capito davvero poco di quanto sta succedendo a Tripoli, Bengasi e dintorni. L'attacco militare è partito ieri pomeriggio, con la Francia in prima linea, e già si susseguono le notizie. Tutte non verificabili, per carità. 'Scudi umani', 'bombardamenti sulla Croce Rossa', 'Gheddafi che dice le bugie' (sic), e così via. Un media-event in tutto e per tutto.
Ma che fine ha fatto il Trattato di Amicizia italo-libico, firmato in pompa magna dal presidente del Consiglio e dal Colonnello nel 2008? 'Superato dalla risoluzione Onu' si è affrettato a dire il presidente della Commissione Esteri del Senato, Lamberto Dini, con una affermazione che speriamo non faccia il giro del mondo. Non si era mai vista una risoluzione che superasse un Trattato firmato liberamente da due Stati, né - fatto ancor più grave - un Trattato sospeso unilateralmente da una delle due parti. Sarebbe contrario al diritto dei Trattati. Lo sostiene - a ragione - Natalino Ronzitti , esperto - lui sì - di diritto internazionale.
Stiamo mettendo il piede in due scarpe, anzi, lo abbiamo già messo. Abbiamo contribuito in modo decisivo a ricollocare Gheddafi nella comunità internazionale con l'aiuto di Blair e Sarkozy e ora non ci va più bene. 'Non può restare più lì', dicono i superespertoni. 'Da quando ha sparato al suo popolo, non ne ha più la legittimità'. Ma Gheddafi tratta così il suo popolo da 42 anni, non da un mese. Quarantadue anni nei quali è stato spesso lo sponsor del terrorismo internazionale.
I libici sono azionisti di maggioranza del nostro istituto creditizio più grande l'Unicredit, hanno partecipazioni un po' in tutti gli asset dell'economia italiana. Il figlio di Gheddafi è stato invitato a giocare a calcio nel nostro campionato di Serie A e, quando non è venuto lui da noi, siamo stati noi ad andare da loro organizzando una Supercoppa tra Juve e Parma a Tripoli sotto gli occhi vigili degli sgherri del regime libico e di quello calcistico italiano ( Moggi, Giraudo e l'allora presidente della Lega Calcio, Galliani).
Se si deve agire in Libia per difendere gli interessi italiani va bene. Fa parte delle relazioni internazionali e dei rapporti che ne governano la comunità. Ma non parliamo di 'intervento in favore del popolo libico' o di 'diritti umani' che vanno difesi dall'alto della nostra moralità. Facciamo ridere. E' bene saperlo.
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