giovedì 19 maggio 2011

POLITICA
Morte (del Governo) a Venezia

Il Papi in una foto recente
- I più non l'avranno notato, ma qualche happy few avrà sicuramente fatto caso che lo scorso lunedì a testimoniare al processo del Papi a Milano c'era anche il nipote del musicista Gustav Mahler. Tra una dichiarazione sullo scudetto del Milan, un ragguaglio sulle elezioni e una dichiarazione su Mills, mi si è parata di fronte agli occhi l'immagine del Papi modello Gustav Von Aschenbach nel film di Visconti, con il cerone che gli si disfa sulla faccia, la tintura dei capelli che gli si scioglie sulla giacca (nel suo caso scura),e un giovinetto che si bagna nel lido (nel suo caso una giovinetta). Come sottofondo la musica del maestro boemo, che narra meglio di ogni altro testo o immagine, l'anelito allo sfacelo. E il bateau-mouche del Governo che scompare nello sconfinato mare di schede elettorali, lasciando, al posto del blu marino il rosso del bagno di sangue e di x sulla scritta 'Pisapia Sindaco'.

Già mi pare di vederlo il Papi, senescente e confuso, rincorrere gli elettori per tutte le calli di un'Italia in preda all'epidemia del colera morale, sostando col fiatone sul ciglio dei marciapiedi non più popolati di donnine ma di gente veramente angry, che lo ha dimezzato - nelle preferenze - da Cavaliere e non da Visconte come nel celebre racconto degli Antenati di Calvino. (Un altro rosso per intenderci).

Per quest'ultimo giro sulla giostra della politica italiana, il Papi ha suonato un rock lentissimo e, smessi i panni del Von Aschenbach musichiere per Visconti e scrittore per Mann, ha indossato quelli di un povero Teddy Boy ormai scalzato dalle luci del palcoscenico e in divisa d'ordinanza: la redingote nera sporca e molto avvitata, il bavero di velluto tarlato, il gilet di broccato a ramages e l'immancabile camicetta di pizzo lurido con jabot penzolante sui bottoncini di madreperla sintetica. Il marchio - non parliamo di 'simbolo' suvvia, lasciamo stare Baudelaire e Maeterlinck! - del Pdl all'occhiello che si faceva sempre più sbiadito man mano che dal Dio Sondaggio si passava all'odiato - e odioso - mondo reale, fatto di quel popolo che un tempo lo aveva scelto, anzi, pre-scelto.

Non sappiamo cosa abbia detto il nipote di Mahler al processo e poco importa. Nessuna sinfonia, nessun rock e - per fortuna! - nessun Teddy Boy con le features di Stracquadanio, ci restituiranno questi 17 anni vissuti dal Papi sempre al di sopra delle righe di un pentagramma che non suona più la musica di Apicella.

lunedì 9 maggio 2011

POLITICA UK
Goodbye, Clegg-mania
I risultati delle amministrative puniscono i Lib-Dem e il loro disinvolto leader. E mentre in Scozia si parla di indipendenza, gli elettori bocciano anche la riforma elettoriale mettendo a rischio il Governo di coalizione.

'Il popolo dice No agli Yes-Men' ha titolato il Times
- Una tornata elettorale ricca di significati, quella dello scorso giovedì nel Regno Unito. Gli effetti del voto per le amministrative e del referendum sul 'voto alternativo' sono già visibili nel presente, ma avranno ripercussioni anche sul futuro immediato e oltre. Il grande sconfitto è stato Nick Clegg, il leader dei Libdems e vice-premier del Governo di coalizione. Gli elettori delle Home Counties hanno bocciato la sua politica di sostegno ai Tories a livello nazionale, facendo perdere al suo partito oltre 1000 consiglieri comunali. Quelli del Regno Unito invece hanno bloccato sul nascere la riforma del sistema elettorale, confermando - con una maggioranza di 7 contro 3 -, il vecchio 'first-past-the-post', il sistema maggioritario uninominale che da sempre determina gli eletti alle elezioni politiche britanniche. E così il primo tassello di quella che l'Economist aveva chiamato la possibile 'trasformazione della Costituzione britannica' è andato a farsi benedire. E c'è da scommettere che adesso sarà più difficile anche ottenere una Camera dei Lords eletta dal popolo e l'abolizione della legge salica per la discendenza monarchica. La Gran Bretagna si è confermata terra di forti tradizioni in campo istituzionale, e non è bastato il presunto carisma di Clegg per abbindolare gli elettori.

Assurto al dubbio ruolo di demiurgo della politica inglese nei 3 faccia-a-faccia pre-elettorali dell'aprile 2010, il vice primo ministro è subito passato dal ruolo di fustigatore dei due partiti di governo (Labour e Tories) a Yes-man pronto a tutto pur di fare carriera. Se in campagna elettorale Clegg si era scagliato contro i conservatori e il loro piano di aumento delle rette universitarie, una volta al governo ha calato le braghe. Su quello e anche sui tagli al settore pubblico. La sua posizione, incoerente e incomprensibile per la maggior parte di un elettorato abituato a votare per partiti che rispettano il loro 'manifesto', è stata punita doppiamente dagli elettori. I Libdems retrocedono sui livelli di consenso dell'inizio degli anni '80 prima dell'alleanza con i socialdemocratici, e, con il loro comportamento, hanno dimostrato ai britannici quanto il vecchio sistema uninominale sia garanzia di maggioranze coese, programmi elettorali rispettati e governi stabili. L' 'Alternative Vote' avrebbe di fatto sanzionato come fait accompli, il governo di coalizione e la politica come contratto tra i partiti da stipularsi dopo che il popolo si è espresso alle urne. Per chi è abituato a scegliere partito e leader di governo direttamente nei seggi, tutto questo è inaccettabile.

Da più parti nel partito si chiede a Clegg di farsi da parte. Lui non ci sta e afferma che sulla riforma della sanità il suo partito non accetterà tagli indiscriminati come propongono i Tories. I big del partito, tra cui Lord Ashdown e il ministro Chris Huhne mettono in dubbio l'atteggiamento dei conservatori sul referendum , e in particolare quello di David Cameron, il primo ministro che ha fatto campagna attiva per il mantenimento del maggioritario. Mai come oggi il Governo britannico rischia la paralisi, se non la crisi.

Sorridono a denti stretti i laburisti di Ed Miliband che hanno guadagnato seggi un po' ovunque ma hanno perso la Scozia, dove i nazionalisti di Alex Salmond hanno ottenuto la maggioranza dei seggi con il 46% dei consensi. Già si parla di referendum per l'indipendenza, anche se il tutto sa di fuoco di paglia. L'economia scozzese dipende da sempre dai sussidi di Westminster per le aree depresse, e di sicuro non vi rinuncerà a cuor leggero.