mercoledì 28 settembre 2011

POLITICA UK
In Labour's country...side
Congresso dei laburisti a Liverpool: Miliband non convince ma il partito tra il rosso delle Unions e il blu dei nuovi ideologi - che sa tanto di nero - preferisce il verde della campagna

Miliband parla al Partito a Liverpool
- Un discorso fumoso ed ecumenico quello di Ed Miliband ieri al congresso dei laburisti sulle sponde del fiume Mersey. Il leader del Labour ha preso le distanze dai predecessori Brown e Blair e dal modello sociale del New Labour, ma, allo stesso tempo non ha espresso nessuna parola di sostegno per il grande sciopero nazionale che i sindacati inglesi hanno indetto contro i tagli del governo di coalizione per il prossimo 30 novembre. Dopo aver ribadito la solita solfa del 'centre ground', una specie di virtuale 'centro' nel quale si situerebbe il partito, Miliband ha attaccato un modello di società che promette soldi facili e senza fatica. Non è quindi stato difficile per la stampa conservatrice dipingere Red Ed come un fricchettone di sinistra anti-business, ma tant'è.

'Back the (Labour) apple'
Più interessante, specie per chi crede nel vecchio motto di Stanley Baldwin 'England is the country and the country is England', è l'azione che i laburisti stanno promuovendo nella campagne inglesi e in particolare nelle roccaforti conservatrici a sud di Londra. Si chiama Back the apple ed è rivolta contro il piano del governo per l'abolizione dell'Agricultural Wages Board, l'istituto che regola i salari dei braccianti. Secondo Mary Creagh, la Shadow Secretary per l'ambiente dei laburisti, il piano del governo avrebbe pesanti ricadute su oltre 150mila persone.

Fa stupore che un partito operaio, che si è tradizionalmente costituito nelle grandi città industriali si occupi di questioni così lontane dal suo elettorato ma è chiaro che il Labour cerca voti ovunque, specie in quelle aree rurali dell'Inghilterra del sud dove è nota la storiella sul cammello che avrebbe più possibilità di essere eletto che un laburista.

Forse il Labour non sarà mai il partito della Village Green Preservation Society cantata dai Kinks negli anni Sessanta. Ma in attesa di chiarire la sua appartenenza cromatica, pare proprio che il verde dell'ambientalismo - che in Inghilterra ha avuto in passato una forte connotazione conservatrice e di destra - possa diventare patrimonio anche della sinistra che ha smarrito il rosso, e guarda incerta al blu come al futuro.
INTER
Ranieri, un Aggiustatore da Inter
La Beneamata passa dal filosofo della panchina Gasp alla praticità testaccina di Sor Claudio: due vittorie in trasferta in altrettante partite.

Ranieri: karma da Aggiustatore
- Da Tinkerman, 'il pasticcione', a Claudio l'Aggiustatore. Deve esserci qualcosa di misterioso nella parabola di Claudio Ranieri, sedicesimo allenatore dell'era Moratti II all'Inter. In Inghilterra rispettato ma guardato come un tecnico troppo incline a cambiare formazione ogni settimana, in Italia considerato il primo dei non-vincenti ma uno che comunque 'ci sa fare'.

E chi ci sappia fare, nonostante a 70 anni abbia vinto un po' pochino (!), lo hanno subito notato anche alla Pinetina, dove Sor Claudio ha portato entusiasmo e tranquillità a un gruppo di giocatori sballottato qua e là dalle alchimie tattiche del Gasperson. In meno di una settimana Ranieri ha portato a casa due vittorie su campi tutt'altro che semplici, rimesso al loro posto i giocatori e, per non farsi mancare nulla, ha pure detto che da piccolo canticchiava Sarti, Burgnich, Facchetti. D'altronde pure Ibra si era spacciato per interista quando da piccolo prendeva a calci il pallone nelle strade di Malmoe..

Tutto bene per l'Aggiustatore quindi? Ma nemmeno per sogno. L'Inter è molto migliorata - ci mancherebbe altro - ma fatica ancora a gestire il vantaggio e c'è la sensazione che 90 minuti concentrata proprio non riesca a farli. A lui il compito di normalizzare una squadra che ha come aggettivo universalmente riconosciuto quello di pazza. Ci riuscirà?

Per ora godiamoci questo nuovo-vecchio Cambiasso che va su tutti i palloni, un Nagatomo che se fosse italiano sarebbe sempre da 7 in pagella, un Pazzini goleador e uno Zarate decisivo. Non è molto ma rispetto a quanto visto sino a una settimana fa può bastare per far strappare un sorriso anche ai più pessimisti tra i supporter dell'Inter. Good luck, Sor Claudio.

mercoledì 21 settembre 2011

INTER
Pagano sempre quelli come Gasp
Quattro sconfitte e un pareggio: a Novara il capolinea del tecnico di Grugliasco.

La presentazione di Gasp: tre mesi fa
- Con quella divisa blu shocking di Versace e l'herpes che gli stava consumando la bocca, non si poteva fare altro che sperare, per la sua salute, che Moratti lo esonerasse e tutti la smettessero con la diatriba sulla difesa a 3, a 4, o con il 5-5-5 di linobanfiana memoria. Il breve regno di Gian Piero Gasperini sulla panchina dell'Inter è durato poco più di 3 mesi. Una reggenza in pratica, con l'ostilità aperta di tifosi e addetti ai lavori già dal giorno in cui aveva firmato il contratto in un afoso pomeriggio di giugno tra l'incredulità generale di tutti. I pregiudizi sono talmente duri a morire che alle volte hanno pure bisogno della conferma della realtà: 4 sconfitte su 5 partite sono una media al di sotto di quella salvezza.

E così, in paese calcistico (e non solo) che conosce tutte le parole tranne 'pazienza', il Gasperson ha fatto le valigie e se n'è andato, così come fanno spesso quelli che non hanno l'appoggio di nessuno, il paraculaggio dei tanto evocati 'poteri forti' e magari subiscono, per dirla con il premier, 'il complotto degli anglofoni'. Non aveva ancora fatto un allenamento il Gasp, e già i critici avevano detto che la difesa a 3 non era adatta a difensori professionisti e pluri-titolati. Lui allora, per volere avere ragione a tutti i costi gli ha dimostrato che anche con quella a 4 l'Inter faceva pena. Tiè. Uscendo dalla Pinetina per l'ultima volta con gli occhi lucidi ha detto timidamente: 'mi dispiace', con quella voce che ha fatto impazzire Fiorello ma che non deve essere proprio il massimo per chi deve sgolarsi e fare capire a Lucio che le sue discese palla al piede, sono, per così dire, inopportune.

Pagano sempre, quelli come Gasperini. i timidi, gli educati, chi difende il suo lavoro perché crede nella dedizione e nell'impegno è facile preda di chi ha stabilito - con le sue teorie lombrosiane - che l'introversione è un comportamento di devianza sociale. Dio ce ne scampi. Forse di ritorno a Grugliasco gli sarà arrivata anche la notizia che con la finanziaria del Governo dovrà pagare anche più tasse, chissà. Lui, alla fine, ha la faccia di uno di quelli che la pagherà. E al massimo chiederà tempo, ( o forse no, visto la buonascita presidenziale) e storcerà il naso come lo ha fatto quando invece che un paio di centrocampisti tosti, gli hanno preso Poli già infortunato e Alvarez sano. Ma non si metterà a picchiare i pugni sul tavolo, né alzerà la voce perché altrimenti non sarebbe Gasperini.

Perché nell'Italia declassata e ruffiana, dove i faccendieri superano per numero e peso le 'brave persone', il ruolo che era stato affibbiato al Gasp era quello di vittima sacrificale, il pesce piccolo da massacrare anzi, il polpo da spolpare, fino a quando 'Moratti non ne poteva più'. Di che cosa poi, non è dato sapere. E pensare che fino a lunedì aveva pure detto che 'il presidente lo supportava'. Con la 'u'. Proprio non aveva capito di essere un dead-man walking. Non aveva capito dov'era capitato.

Si faccia coraggio mister Gasperini. Non dovrà più indossare Versace e l'herpes gli passerà in un momento senza avere la preoccupazione di scegliere chi tra Forlàn e Zarate dovrà affiancare lo zombie Milito nel tentativo di salvare il salvabile. Con il suo esonero mister, abbiamo perso anche tutti noi, quelli che, alla fine, nel nostro piccolo, ci sentiamo più come lei che non come chi, dal primo giorno, non ha creduto nel suo lavoro.

lunedì 19 settembre 2011

PREMIER LEAGUE
Arsenal, how low can you go?
Quattro punti in 5 partite, 12 gol subiti nelle ultime due trasferte, squadra allo sbando. Ma i Gunners rischiano davvero la retrocessione?

Benvenuti a Fawlty Towers
- L'immagine è quella a cui i tifosi dell'Arsenal sono abituati da tempo: Wenger in panchina con le mani tra i capelli, l'acqua che gli scende copiosa sul blazer e, al suo fianco, Djourou che lo guarda impaurito come per dire: 'Non è che tocca a me, vero?'. Anche il risultato è il medesimo: che si giochi in casa dei campioni d'Inghilterra o nella depressa Blackburn, i Gunners vanno incontro a figuracce storiche, battendo ogni record negativo di sempre. E Le Prof. a fine gara sembra un Basil Fawlty della panchina col suo inglese francesizzato, da studente Shenker fuori corso. Il pentolone è già stato raschiato: ora bisogna solo scavare sottoterra, dove si può trovare sono una capital 'C', quella di Championship.

Citrus Head: un disastro a Ewood Park
Ma l'Arsenal rischia davvero la retrocessione? La ragione dice no, il campo dice sì. E siccome quello che conta è il campo, non si può fare a meno di notare che, in questo momento, in tutta la Premier League non c'è una squadra peggiore dei bianco-rossi di Islington, non c'è un manager più confuso dell'alsaziano. Non c'è una sola squadra la cui difesa si sbricioli come quella guidata dal perfido Koscielny e da Citrus Head Djourou. Non c'è nessuna squadra che ha una linea dei 4 difensori così storta da sembrare un cartone animato come quella dell'Arsenal. In nessun centrocampo del calcio professionistico inglese si vedono praterie da Rhodesia meridionale come quello in cui Ramsey pascola pasciuto perdendo palloni su palloni e Walcott corre non si sa bene dove. E, ancora, nessuna squadra in questo momento si farebbe schiacciare nella sua metà campo come è successo all'undici di Wenger in casa contro il neopromosso Swansea, o potrebbe subire 4 reti dal Blackburn di Kean, che, beninteso, 4 gol non li segnava dai tempi di Giorgio VI.

La verità è che i polli dello sponsor Venky's sulle maglie doveva averli l'Arsenal, altrochè. E quale castigo peggiore poteva esserci per i supporters dei Gunners già vittime dello sfascio dell'Old Trafford che non di vedersi il biglietto rimborsato proprio nella trasferta dell'Ewood Park? Questa è crudeltà. Se solo i soldi dei rimborsi li avessero messi da parte per aumentare il tesoretto proveniente dalle cessioni di Nasri e Fabregas...

Il prossimo turno l'Arsenal 17esimo, cornuto e mazziato, affronterà il Bolton, una delle poche squadre che lo seguono in classifica. Quattro punti contro 3. Scontro-diretto? Forse è ancora presto per dirlo. Ma vedendo come si squaglia questa squadra, come non è in grado di difendere un qualsivoglia vantaggio contro chiunque, Wenger e soci farebbero bene a tenere d'occhio la coda della classifica: in fondo, il Manchester Utd ha già 11 punti in più là davanti e la zona retrocessione dista solo un misero punto da questo tragico, triste e tremebondo Arsenal e dal suo Basil Fawlty della panchina.

giovedì 15 settembre 2011

CALCIO
Gasperson come Radice, l'Inter dei destini incrociati
Tre sconfitte in 3 partite ufficiali per l'Inter di Gasperson. Ma in passato c'è chi è riuscito a fare peggio con Gigi Radice in panchina. E con il Trabzonspor sempre di mezzo.

L'Inter 1983-84 allenata da Gigi Radice
- L'Inter del condottiero Gasperson è naufragata ieri sera a San Siro contro i modesti turchi dal Trabzonspor, portando a 3 le sconfitte nelle 3 gare ufficiali della stagione. Gli interologhi più accaniti non avranno sicuramente mancato di notare come l'avvio a dir poco stentato di Gasperson ricordi quello ancora più drammatico della stagione 1983-84, quella in cui l'Inter si affidò alla guida di Gigi Radice, ex tecnico del Torino scudettato di Pulici e Graziani, di Zaccarelli e degli altri campioni, che, nel 1976, portarono il titolo sull'altra sponda della Mole.

Gigi Radice, antenato di Gasperson
Erano, quelli, tempi molto diversi con l'Italia in pieno boom-economico degli anni Ottanta e il Paese guidato dal decisionismo di Bettino Craxi, il primo socialista a essere nominato presidente del Consiglio nella storia. (Allora, non avevamo ancora inventato il termine 'premier' per riferirci a chi 'premier' non è). L'Inter, invece, era molto simile a quella di oggi. I problemi erano soprattutto a centrocampo, dove, allontanato Beccalossi, Radice riponeva le speranze per una stagione da protagonisti nel regista belga Ludo Coeck e nel nazionale tedesco Hansi Mueller, un panzer senza la grinta e il carattere normalmente esibito dai giocatori germanici.

L'avvio della stagione fu traumatico. Radice, ultima scelta del presidente Fraizzoli prima di cedere a Pellegrini, vide l'Inter uscire già ad agosto nel gironcino (ah, nostalgia!) di Coppa Italia. Allora non esistevano Supercoppe e nemmeno Nidi di Uccello a Pechino. Poi iniziò il campionato e fu un disastro. L'Inter cadde dapprima in casa contro la Samp del giovane Mancini e dei britannici Francis e Souness e poi venne presa a pallate a Roma contro la Lazio, soccombendo 3-0 sotto i colpi di Laudrup. Dopo un pareggio a reti inviolate alla terza in casa contro il Toro, l'Inter ci ricascò e perse 1-0 ad Ascoli. Dopo 4 giornate si trovava all'ultimo posto della classifica con un solo punto, la panchina di Radice traballante e il timore di una retrocessione sembrava più che fondato. Anche in coppa le cose non andarono meglio: dopo avere rimontato gli olandesi del Groningen, l'Inter si trovò di fronte nientepopodimenochè i turchi del Tranzonspor! Gli uomini di Radice persero di misura a Trebisonda ma rimontarono sul neutro di Cesena con reti di Altobelli su rigore e Collovati a 4' dalla fine. Radice salvò la panchina in una assolata domenica di ottobre, battendo il Napoli con gol del solito Altobelli, per poi superare a novembre il Milan nel derby per 2-0 con a segno anche Mueller.

L'Inter chiuse il campionato con un onorevole quarto posto, inanellando una serie di risultati utili che la portarono in zona Uefa, allontanando l'incubo della B. Anche oggi il quarto posto darebbe diritto a un posto Uefa, in Europa League per dirla tutta. E anche oggi come allora, non basterebbe a salvare la panchina dell'allenatore: Radice fu sostituito a fine anno da Ilario Castagner, Gasperson chissà. 

martedì 13 settembre 2011

POLITICA UK
Tories e Ue, un (dis)amore lungo 40 anni
La crisi dell'euro agita le acque anche nel Paese della sterlina: ministri e backbenchers Tory chiedono a Cameron di rivedere il rapporto tra Londra e Bruxelles

1973: Heath firma e suona Beethoven
- Quando nel 1972 il premier Conservatore Edward Heath vinse, con l'apporto di una minoranza di MPs laburisti, il voto per l'ingresso del Regno Unito alla Camera dei Comuni, non si sarebbe certo aspettato che l'Europa diventasse un fattore decisivo nelle divisioni della politica britannica nei successivi 40 anni. Heath era un uomo imbevuto di cultura europea: festeggiò persino il felice esito della votazione suonando in privato a Downing Street l'Inno alla Gioia di Beethoven di fronte ai suoi collaboratori stupefatti. Oggi, è più facile che Beethoven venga suonato dai suoi eredi Tories in caso di fallimento dell'euro, crollo dell'Ue, e - perché no? - deportazione di tutti i commissari, Barroso in testa.

Le acque nel governo di coalizione britannico sono agitate per la richiesta a Cameron di rivedere la relazione UK-EU da parte di 80 backbenchers del partito del premier. A loro si sono accodati anche due pezzi grossi dei Tory e del governo, come il capo del Foreign Office, William Hague e il ministro del Lavoro, Iain Duncan Smith, entrambi ex leader dei Conservatori negli anni della traversata del deserto all'opposizione, complice la macchina da consensi blairiana.

settembre '88: il celebre discorso di Maggie a Bruges

Gli euroscettici affermano di 'averci visto giusto sull'euro' e fanno velatamente capire che qualsiasi richiesta a Cameron dovrà tenere conto anche della presenza dei LibDems nel governo, un partito che da sempre sostiene l'avvicinamento del Regno Unito a Bruxelles e l'allentamento della 'relazione speciale' con gli Usa.
Si rifanno alle politiche di Margaret Thatcher, il premier britannico più in odio a Bruxelles tra quelli britannici, costretta alle dimissioni nel 1990 proprio per la sua contrarietà allo Sme e ad alcuni commenti non proprio eleganti nei confronti dei colleghi tedeschi. Il loro think-tank di riferimento è il Bruges Group, il cui nome si riferisce al celebre discorso anti-federalista e anti super-stato europeo, che la Lady di Ferro pronunciò nella città belga nel settembre 1988.

Il ministro inglese per gli Affari europei, Lidington, un Tory, si è affrettato ad affermare che il Regno Unito ha più vantaggi che svantaggi nello stare nell'Unione, ma la questione, spesso sottovalutata anche dai più autorevoli commentatori internazionali, rimane. Dopo gli anni dell'europeismo moderato e depoliticizzato di Blair, l'Europa torna a essere terreno di battaglia sia all'interno del governo di coalizione, sia all'interno del partito Tory. I tempi in cui Winston Churchill parlava di Stati Uniti d'Europa o il laburista Roy Jenkins presiedeva la commissione europea, sembrano davvero sbiaditi nel tempo.

martedì 6 settembre 2011

POLITICA UK
Anche a Londra arriva il processo-spettacolo?
Il governo britannico sta considerando l'ipotesi di aprire le aule dei tribunali alle telecamere, dopo le ripetute richieste di Sky News. Ma è un bene?

Sorridi, sei su candid-Cameron
- Se anche in Inghilterra ci pensano vuol dire che abbiamo fatto scuola, o forse che la nostra civilità giuridica sta per essere sacrificata per sempre sull'altare di quella mediatica. E' notizia di ieri infatti che il governo britannico guidato da David Cameron sta considerando l'ipotesi di rendere possibile la registrazione di alcuni dibattimenti nelle aule dei tribunali per rendere più 'trasparenti' alcuni processi. A supportare l'esecutivo, è arrivato anche il benestare dell'opposizione laburista, tramite di Ministro della Giustizia del Governo Ombra, Sadiq Khan, che ha affermato: 'La ripresa con le telecamere infonderebbe maggiore fiducia nel nostro sistema giuridico'. In precedenza si erano espressi in modo favorevole anche alcuni tra i giudici più rinomati del Regno Unito. Le telecamere verrebbero usate solo per i processi civili e non per quelli penali.

Sembra comunque un piccolo passo verso quello a cui abbiamo assistito in Italia negli ultimi 20 anni e cioè il proliferare di una mediatizzazione della giustizia, a uso e consumo di stampa e tv senza alcun riguardo per giudici, imputati e, soprattutto, per la giurisprudenza. Colpevoli, lo sono un po' tutti: i giudici in cerca di fama che vogliono reclamizzare le loro inchieste e gli imputati che sanno che l'opinione pubblica può determinare l'esito di un processo. E così abbiamo assistito via via al Forlani con la bava alla bocca in tv mentre dietro di lui una folla inferocita bofonchiava ogni sua risposta, un Craxi fin troppo sicuro auto-denunciarsi per la gioia dei pm di Manipulite, e, infine, colpo di scena, Tonino Di Pietro levarsi la toga una volta per tutte per dire addio alla magistratura e prepararsi all'avventura politica. E questo solo per quanto riguarda la politica. Che dire dell'omicidio Kercher, di Rosa e Olimpio, di Avetrana, Garlasco e così via?

Non credo che vedremo mai Blair messo sotto torchio dalla Boccassini di turno, o Cameron chiamato a rispondere dei suoi rapporti con Murdoch in diretta tv da un'aula di tribunale. L'Inghilterra non è l'Italia e più della mob-rule, conta ancora - per fortuna -, la rule of law, la legge vera e propria. Per i politici ci sono le varie commissioni d'inchiesta, come quelle sull'Iraq e per i casi più spinosi nei rapporti tra media e istituzioni c'è la possibilità di filmare il lavoro delle commissioni. Proprio come da noi. Ma voi ve li vedete gli inglesi che cambiano una classe dirigente con l'uso della magistratura e della stampa?